Lo Studio è particolarmente attento nella progettazione sia di nuova costruzione che di restauro e ristrutturazione, nel recupero di quegli elementi che caratterizzano l’architettura eoliana, preservando un aspetto dell’ identità territoriale, patrimonio UNESCO, attraverso le ricostruzioni di quegli elementi caratteristici che compongono lo stile eoliano come “pizzi”, “pulera” e “bisola”, tra i più importanti.
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La casa Eoliana
Quello che ha contraddistinto la cultura eoliana è senza dubbio il rapporto con l’ambiente. Prima espressione di questo particolare rapporto è senza dubbio il “segno” dell’abitare, la casa eoliana, un insieme di esigenze essenziali legate ad uno scambio naturale tra l’uomo ed i luoghi che lo circondano.
A determinare in primis l’impronta della struttura architettonica eoliana c’è alla base un modus vivendi orientato a difendersi contro tutti e contro tutto.
L’abbandono della rocca del castello dopo l’ultima incursione del Barbarossa, ha infatti lasciato una pesante eredità antropica, manifestata a pieno nella creazione di un complesso strutturale-architettonico facile da difendere, essenziale nell’abitare e capace di servire anche per le esigenze legate all’attività rurale.
Nasce così la cellula eoliana, una costruzione monovano realizzata con pietra locale, dotata di un’unica porta d’ingresso, preferibilmente orientata ad est, sopra la quale o ai lati venivano realizzare due fori (finestrelle) per far ventilare l’aria all’interno.
Le finestrelle in un primo momento venivano realizzate attraverso la collocazione di pentole di creta prive di fondo nei muri perimetrali. Successivamente all’interno veniva collocato uno sportellino per la chiusura invernale. Tutte le aperture secondarie venivano sempre dotate di inferriata.
La porta principale costituiva dunque l’unico punto di accesso alla casa, l’unico punto da difendere contro le intrusioni. Allo stesso tempo doveva però essere funzionale nell’esercizio giornaliero di fruizione della casa.
Ecco dunque la classica porta a tre ante e tre battenti. Una metà veniva realizzata per tutta l’altezza del vano porta mentre la seconda metà veniva spezzata in due parti, una delle quali (quella superiore) veniva a restare aperta per dare aria all’interno; quella inferiore invece, veniva chiusa ed assicurata alla metà più grande con maniglie in ferro e saliscendi ben ancorati a terra.
La prima variante a questo tipo di infisso esterno è dato dall’inserimento di un riquadro a vetri soprattutto nella metà intera che restava sempre chiusa e successivamente anche a quella apribile. Questa evoluzione di stile va di pari passo con quella della casa eoliana e soprattutto dalla tranquillità che la popolazione eoliana cominciava ad avere nell’antropizzare quelle parti di territorio vicino alle coste.
Dunque, oltre al monovano, la protocellula eoliana veniva completata da uno spazio aperto denominato “bagghiu”, che si estendeva per tutta la lunghezza del prospetto e largo quanto l’altezza del corpo principale. Questo terrazzo veniva delimitato lungo il lato parallelo a quello dell’ingresso, da un muretto, “bisuolu” di altezza adeguata per servire da sedile; ai due angoli venivano realizzate due colonne in muratura, “pulera” di forma cilindrica ed a sezione costante; questi, avevano un funzione molto importante in quanto sostenevano una orditura di travi di legno, appoggiate in testa lungo la trave di portata che si ancorava sulle due colonne ed incastrate al prospetto della casa con una pendenza quasi inesistente. Tra le travi venivano stese delle coperte di canne ed a volte venivano integrate con viti rampicanti: si creava così “a loggia” che durante il periodo di maturazione offriva i suoi frutti a chi sostava al fresco delle fogliame.
Ai lati del “bagghiu” venivano realizzati due piccoli costruzioni: una serviva come bagno (generalmente appariva a forma di parallelepipedo) e veniva realizzata nella parte nord per ripararsi dai venti gelidi; l’altra era invece “u furnu”, una cupola poggiata su di un basamento al cui interno venivano stipate i tronchi da ardere, che serviva per la cottura dei cibi ed in particolare del pane. Nelle evoluzioni della casa eoliana ne troveremo anche due, uno più grande per il pane ed un altro più piccolo per i dolci. Seguendo anche lo sviluppo sociale degli insediamenti eoliani, troveremo questi forni all’interno del vano cucina, una cucina molto più ampia del semplice “cufularo” (angolo cottura all’interno del monovano primordiale), conviviale e destinata agli scambi sociali con il vicinato e culturali con i primi turisti o viandanti che transitavano alle Eolie.
La scala Eoliana
La scala partiva generalmente da un blocco pieno che accorpava i primi 5/6 scalini, per poi proseguire a sbalzo verso l’arrivo (il terrazzo del primo piano o direttamente al portone d’ingresso). Sotto questo sbalzo venivano costruite le arcate multicentriche: il primo arco raccordava il blocco di partenza con lo sbalzo: il secondo era costituito dallo sbalzo vero e proprio: il terzo raccordava quest’ultimo con il muro d’arrivo.
“l’astricu”, “u catusu” e “a gibbia”
Per ordine ed importanza: “l’ascricu” è il tetto piano del cubicolo strutturale, destinato alla raccolta delle acque piovane; esse venivano incanalate con un sistema di pendenze nel “catusu”, una conduttura realizzata fuori dei muri maestri, con elementi in creta ed incastonati l’uno sopra l’altro, che serviva a convogliare l’acqua nella “gibbia”, una cisterna di particolare forma a campana generalmente realizzata sotto una parte consistente del terrazzo (loggia). La “gibbia” doveva essere ispezionabile per evacuare periodicamente il fango che si depositava sul fondo della cisterna, fondo che veniva realizzato a fonte battesimale proprio per assolvere a questa funzione. L’imbocco lo troviamo quasi sempre lungo “u bisuolu” e veniva chiuso da un sistema di due pietre, una ancorata alla muratura con un foro centrale e l’altra realizzata per chiudere a mo di tappo il foro della pietra murata.
U Parmientu (Il Palmento)
U parmientu è costituito da una sala d’ingresso di modeste dimensioni in fondo alla quale si trova una vasca delimitata da muretti di altezza media; in questa vasca vengono scaricati i “cuofana” (grandi ceste in vimini intrecciato) carichi di uva per la pigiatura; la prima “pestata” o spremitura veniva convogliata da un ugello in pietra un una vasca sottostante che accoglieva il primo succo di uva; per un primo filtraggio del mosto veniva collocato alla pietra ugello con tiranti in corda, un “cuofanu” di dimensioni più piccole rispetto a quello da carico: gli spazzi che il vimini lasciava servivano a far passare il mosto, trattenendo le impurità che si potevano mischiare nella pigiatura.
Per la spremitura finale ci si serviva di una pressa che produceva il succo più pregiato dell’uva: la pressa veniva costruita dentro la vasca di pigiatura e consisteva nell’accatastare i chicchi già pigiati attorno ai quali veniva girata una corda di grosse dimensioni, fino a realizzare un cilindro non più alto della metà di un uomo. Questo cilindro realizzato con le corde veniva posto sotto una trave che attraversava la vasca di pigiatura e che si incastonava dentro una nicchia da un lato mentre l’altro veniva lasciato libero per poi adagiarsi sopra la catasta da pressare. All’estremità di questa trave veniva poi appesa, con un sistema di argano in legno, una pietra chiamata “pisa”. Questa pietra veniva adagiata dentro uno scavo sotto il pavimento per impedire che intralciasse i lavori di inizio. La forma è a pera con l’estremità forata per permettere di essere legata alle funi dei tiranti.